lunedì 2 giugno 2014

Flagless

 Berishan, Afghana, 2510

La stanza è esattamente cubica; le basi delle pareti che formano il perimetro del pavimento, misurano tutte la stessa lunghezza; e l'altezza che distanzia il pavimento dal soffitto ha precisamente la stessa misura delle basi delle pareti. È un cubo di metallo o di cemento, la stanza del Lieutenant Clark Haughton della base della Flotta Alleata di Afghana. Ed è ampia abbastanza per ospitare quattro persone - Haughton fuso nella propria scrivania come un Charon senza ruote o un Chirone senza zoccoli, il ragazzo vestito di nero che gli siede di fronte, due soldati alle spalle del ragazzo - tutte ordinatamente sistemate ai propri posti.
Haughton ha la mandibola squadrata, gli zigomi sporgenti, la pelle cotta al sole, le braccia robuste e ruvide di cicatrici come tronchi d'albero, il petto ampio sommerso di medaglie, i capelli chiari, corti, irti sul capo, ed occhi che hanno la stessa trasparenza del vetro.

- Ricapitoliamo: mi spieghi come mai si trovava ancora su Hera a Gateshead.
  Haughton ha la voce piatta e profonda dei militari. Scruta il ragazzo vestito di nero senza indulgenza e senza accusa. Non urla, ma tra le pareti metalliche la sua voce rimbalza in un clangore assordante, nella scatola cranica del ragazzo vestito di nero si trasforma in frastuono.Un frastuono intraducibile in suoni distinti.
L'occhio grigio del ragazzo vestito di nero è allagato dai farmaci, incastonato in quanto sopravvive di un volto di ventitrè o ventiquattro anni, benché non ne sia visibile che poco più della metà, nel miscuglio amorfo della pelle bruciata, delle bende imbrattate di sangue rappreso e di macchie giallastre essiccate.

- Era a Gateshead durante il bombardamento?
- Sì.
- Come mai si trovava ancora là?
  Il ragazzo vestito di nero apre bocca di nuovo, ma non articola più di un verso soffocato in un accesso muto di tosse che gli piega le spalle e gli contrae il torace in uno spasmo cruento che gli irriga le labbra secche.
- Mi risulta che la delegazione di cui fa parte, fosse già partita diversi mesi fa da Hera.
  Sta ancora recuperando un ritmo respiratorio accettabile, ha ancora in bocca il sapore ferroso del proprio sangue mentre Haughton continua l'interrogatorio.

Haughton intreccia tra loro le dita delle mani solide: ciascun avambraccio, posato sulla schivania, ostenta le cicatrici alla stregua delle medaglie che il lieutenant sfoggia sul fondo bluastro dell'uniforme.
Il ragazzo vestito di nero ha poco da sfoggiare, se non una certa, lontana e consunta eleganza, che sopravvive nel modo in cui riesce a tenere le spalle dritte nonostante la schiena curva suggerisca l'idea di cedere sotto il peso esiguo del cappotto scuro impolverato, nel modo in cui il collo, nonostante i tremori, sostiene la posizione del capo perché l'unico occhio sia diretto sul viso di colui che l'interroga.

Il ronzio del condizionatore è una cantilena monotona che si mescola col rumore dei mezzi militari e del vociare degli holoschermi che provengono dall'esterno. Gli holoschermi non sono meno trafficati delle strade e dei cieli di Afghana in quei giorni. I notiziari cortex precedono i mezzi militari che rientrano da Columba. Relitti di blindati e relitti umani prelevati dai campi di battaglia e dalle lamiere contorte piovute dallo spazio, strappati all'odore di putrefazione e di combustione delle trincee, ma non alla coscienza dell'epilogo risolutivo di Sturges.

- Allora, perché era ancora a Gateshead. Non è una domanda difficile, Wolfwood.
  Il ragazzo vestito di nero continua a tacere, che sia per volontà o per incapacità d'articolare suono.
Gli spigoli della stanza iniziano a contorcersi in spire sinuose. L'ambiente sembra diventare perfino meno opprimente. Il bagliore accecante di una fonte luminosa, una finestra o una lampada, impatta sull'occhio grigio trabordando come una pozza troppo piena.
Il trillo di una chiamata in entrata gli trafigge il cervello bucando la barriera ovattata degli antidolorifici.
Tutto quello che riesce a raggiungerlo, oltre i grugniti di Haughton, sono le parole "figlio", "costretto" e "prigioniero". Haughton assorbe gli ordini e richiude il dispositivo.

- Sa che è responsabilità della Flotta difendere i nostri ambasciatori: se aveva deciso di trattenersi dopo la partenza della delegazione, avrebbe potuto chiedere una scorta. Suo padre, Mister Wolfwood, si è preoccupato di avvisare il comando: mi perdoni, ma, vede, la chiamata non è giunta che pochi minuti fa.
  Il ragazzo reagisce con un cenno d'assenso, o un cedimento del capo. Il cappotto gli ricade sulle spalle asimmetrico, sformato dall'assenza dell'arto sinistro.

La voce di Haughton ha preso l'inflessione cortese di un cane ben addestrato che attende il proprio compenso dopo aver compiaciuto l'istruttore.
Viene ricompensato dal respiro frammentato che defluisce dalle labbra del ragazzo che ha di fronte sotto la compressione del torace. La mano destra del ragazzo arpiona le dita sul ginocchio come se dovesse scavarvi cinque solchi, impone al gomito di non piegarsi proprio in quel momento, pur di non sottrarre agli occhi chiari di Haughton quell'unico occhio del colore del piombo, sorreggendo l'impalcatura distorta delle spalle sotto la linea curva della colonna vertebrale.

- Il comando mi ha spiegato tutto: vada pure, e si rimetta. Quando si sarà ristabilito, la delegazione potrà nuovamente giovare della sua presenza. E questa volta sia più prudente.
  La voce di Haughton è un ronzio indistinto, ovattato, lontano, fastidioso. Ma questa volta l'ascolta, parola per parola, anche mentre viene soffocata dal suono del proprio respiro. Che è più vicino, più presente, che è più tangibile. Ed è più concreto, mentre gli riempie i polmoni, mentre solleva ritmicamente le spalle sorrette dall'unico braccio. Mentre scandisce irregolarmente gli attimi di silenzio che il ragazzo interpone tra le parole di Haughton e le proprie.
- Rassegno le dimissioni.





Al campo di Gateshead, Wolfwood aveva perso un braccio, Smirnov aveva perso una gamba, Simmons aveva perso la vita. Wolfwood aveva perso anche un occhio. Ma Wolfwood era uno di quei fortunati che potevano permettersi un arto e degli organi sviluppati in vitro.

Una delle astronavi sfornate dalle WW Industries, una delle poche non destinate a trasformare le macerie della guerra nel denaro di Lawrence Wolfwood, sarebbe andata a prelevarlo da Berishan per trasportarlo in una delle più attrezzate strutture ospedaliere di New London o di Horyzon. Lì, al sicuro dai bombardamenti, e lontano dagli scenari di guerra, Lars Faust Wolfwood avrebbe avuto tutto il tempo per ristabilirsi, per riacquistare una forma fisica ottimale, e per dimenticare lo spiacevole incidente occorsogli al campo di Gateshead.

Tuttavia, quando l'astronave sfornata dalle WW Industries raggiunse Berishan, Lars Wolfwood aveva già ottenuto il ricovero presso uno degli ospedali di Afghana.
Aveva preso la decisione di non dipendere più dall'influenza e dal denaro di Lawrence - il cui patrimonio continuava ad aumentare esponenzialmente col numero dei caduti - , né da ideali nei quali non era più certo di credere. Meno consapevolmente, aveva deciso di dipendere da un equilibrio psicofisico irrimediabilmente compromesso.

Quando fu in grado di rimettersi in piedi, Lars Wolfwood ripartì immediatamente per Hera.